martedì 9 febbraio 2010

Bella recensione su Excursus.org a cura di Annalice Furfari



La mitologia, ovvero il recupero delle radici

di Annalice Furfari

Un volume di racconti stampato da Laruffa focalizza l'attenzione sulle tante leggende dello Stretto
Dei, ninfe, maghi, streghe, santi, cavalieri, re e regine, abitanti di mondi incantati, protagonisti di storie affascinanti, capaci di attraversare indenni il turbinio vorticoso e incessante dello scorrere del tempo, passando di bocca in bocca, di padre in figlio, di generazione in generazione, di secolo in secolo. Storie che si sedimentano nel sostrato culturale di una terra, convertendosi in un arcaico pozzo di sapienza, al quale attingere sospinti dal bisogno o più semplicemente dalla curiosità e dal desiderio di entrare in contatto con le proprie radici. Risiede qui il punto di forza della mitologia, con il suo bagaglio di miti, misteri, leggende, fatti e personaggi, di cui è arduo distinguere i confini tra verità e finzione, realtà e fantasia. E nonostante ciò, a migliaia di anni dal loro germoglio, questi racconti non smettono di esercitare il loro fascino innato su tutti coloro che si accostano a un mondo così variegato e a tratti persino surreale.
Ecco perché, nell’era delle telecomunicazioni, di internet e dei social network, si continuano a pubblicare libri che, a uno sguardo superficiale, potrebbero apparire ormai desueti. Al contrario, proprio le suggestioni arcaiche rievocate contribuiscono a rendere seducenti, oltre che interessanti, testi come Febea. Miti, misteri e leggende di Reggio Calabria e dintorni (Laruffa Editore, pp. 152, € 10,00), raccolta di racconti mitologici interamente dedicati alla città che fa da punta dello Stivale e ai suoi splendidi centri limitrofi. L’autrice di queste raffinate trame mitologiche si chiama Marina Crisafi, giornalista e saggista di origini reggine, trapiantata a Genova, alla sua prima esperienza narrativa.

Una dichiarazione d’amore alla propria terra
Come ci spiega la scrittrice stessa nella Prefazione, «la tua città o la ami o la odi. Non ci sono vie di mezzo». Soprattutto se si vive la complicata condizione di «figli strappati alla propria terra». A quel punto, diventa quasi automatico idealizzare la propria città, ricordando solo gli aspetti positivi e dimenticando le difficoltà e le brutture, con le quali si è comunque dovuto fare i conti. Nello stesso tempo, «però, avviene una cosa stupenda, si recupera la propria identità, l’orgoglio di appartenenza. Si diventa più consapevoli di essere Reggini». È proprio questo il meccanismo, quasi automatico, che ha consentito all’autrice di accostarsi alle proprie radici culturali con sguardo distaccato e partecipato assieme, nel desiderio di portare alla luce e archiviare il nucleo fondamentale della miriade di miti, favole e racconti che hanno come comun denominatore l’ambientazione nella provincia di Reggio Calabria.

L’obiettivo per cui questo lavoro è nato è quello di recuperare e organizzare storie che, per quanto fittizie, contengono un barlume di verità e la prova sta nel fatto che si sono sedimentate nel bacino di cultura, usanze, costumi e tradizioni di un’intera popolazione. Nonostante ciò, troppo spesso questi racconti, passati di bocca in bocca per secoli, sono dimenticati o, ancor peggio, ignorati dai Calabresi di oggi. È la stessa Crisafi a lanciare l’allarme: «Reggio Calabria è, purtroppo, una delle poche province che disconosce le proprie origini. Si è persa la memoria storica, la cognizione di quello che il nostro territorio e la sua gente hanno rappresentato nei secoli. E ciò ha consentito che le tare che attanagliano la nostra terra ricadessero anche su coloro che vanno avanti con onestà e dignità, rendendoli succubi di un senso di vergogna ancestrale, quasi che l’essere Reggini sia una colpa e non un motivo di orgoglio».

Ecco, quindi, che questo libro si converte in una vera e propria dichiarazione d’amore dell’autrice alla sua città, alla sua terra, a quelle bellezze paesaggistiche che hanno contribuito a forgiare il carattere, la personalità, lo spirito, l’anima e il cuore dei suoi abitanti. Un atto letterario di amore e devozione, che «vuole rappresentare un invito a riappropriarci della nostra identità, a riconoscere la nostra cultura e proporla, libera dallo spettro della violenza e della negatività, agli altri Reggini, ai Calabresi, a tutti gli Italiani, gridarla al mondo!», farlo con la grazia, la leggerezza, l’ironia e la sapienza insite in queste storie.

Il mito attraversa la storia
Le leggende narrate in questo testo, oltre a essere gradevoli e facili alla lettura, complice uno stile scorrevole e delicatamente raffinato, sono assai utili per entrare in contatto con le numerose, e spesso complicate, vicende storiche che hanno caratterizzato il territorio reggino nel corso dei secoli. Una storia molto ricca e densa di significato, ma troppo spesso ignorata dagli stessi Reggini.

Nei racconti selezionati e riscritti da Crisafi, la realtà permea la fantasia e il mito si intreccia alla storia, in modo talmente leggero e istruttivo che il libro potrebbe essere tranquillamente adoperato dai genitori come fonte di ispirazione per le favole da raccontare ai bambini, favole che si sedimentano nel bagaglio di idee, principi, valori e cultura di ognuno di noi. Ma anche gli adulti possono trarre beneficio da una lettura, mai noiosa o stancante, che passa in rassegna 3000 anni di storia, quella storia che ha trasformato Reggio da «gloriosa polis magno-greca» a «potente civitas federata romana», da roccaforte cristiana a enclave musulmana, da «superba spagnola» a «raffinata oasi francese». Le molteplici dominazioni e il contatto con i popoli, le culture, le lingue, le tradizioni e le usanze più disparate costituiscono la forza e la ricchezza di questa città, forgiata da una miscellanea spesso ignorata, che, anziché indebolirla, le ha permesso di consolidare le proprie peculiarità e specificità.

Personaggi affascinanti e luoghi incantati, fino all’origine delle mafie
L’altro punto di forza del libro è costituito dai ritratti dei protagonisti dei miti e delle leggende, personaggi animati da emozioni e sentimenti intensi, che spesso si trovano a dover percorrere le scale impervie dell’esistenza o a dover fare i conti con un destino avverso. Le categorie sono le più varie: si passa dagli uomini agli dei, dalle ninfe ai poeti, dai maghi alle streghe, dai balordi ai santi, dai contadini ai cavalieri, dai re ai poveracci, dalle fate alle principesse, dai diavoli ai fantasmi.
Il filo conduttore che lega questa umanità così sfaccettata è l’ambientazione: i paesaggi incantati della Calabria, con le sue distese profumate di agrumeti e oliveti, i suoi aspri angoli montani, il suo scenario marino roccioso e frastagliato, le sue acque scroscianti e cristalline. Quello stesso paesaggio tuttora vergine e incorrotto in molti punti, nonostante le numerose storture edilizie.

Molte sono le vicende e le leggende raccontate, alcune particolarmente note, come quelle della fata Morgana, di Scilla e Cariddi e della Sibilla Cumana, altre meno conosciute, ma non per questo meno affascinanti.

Una delle più interessanti e, per quanto antica, straordinariamente attuale, è quella che chiude l’opera e narra la storia di tre cavalieri spagnoli, colpevoli, secondo la leggenda, di aver istituito le mafie nel nostro paese. Osso, Mastrosso e Carcagnosso erano affiliati alla Garduña, la società segreta, nata in Spagna intorno al Quattrocento e dedita al saccheggio e all’omicidio. Un giorno, i tre delinquenti furono arrestati e trasportati nel carcere duro di Favignana. Qui maturarono l’idea di fondare una nuova società criminale e ne stabilirono regole, riti, codici, formule segrete, simboli esoterici e disciplina. Alla scarcerazione, i tre cavalieri si salutarono, «giurandosi, sul sacro vincolo della famiglia e della fede, reciproco rispetto ed eterna fedeltà». Poi si separarono per sempre. «Osso rimase in Sicilia dove fondò la mafia. Mastrosso girovagò per tutta la penisola e alla fine si stabilì a Napoli dove diede vita alla camorra. Carcagnosso, invece, si diresse in Calabria dove pose le fondamenta della ‘ndrangheta».

Nonostante questo triste racconto, il libro si conclude con le considerazioni speranzose dell’autrice e con il suo augurio che la ‘ndrangheta diventi essa stessa, un giorno, una leggenda da tramandare ai posteri, affinché le generazioni future ne traggano esempio.

Annalice Furfari
(www.excursus.org, anno II, n. 7, febbraio 2010)

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